Poesia & Poesia
Poesia bilingue - italiano e portoghese brasiliano.
Vera Lúcia de Oliveira (Maccherani)
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"No coração da boca / Nel cuore della parola"
Vera Lúcia de Oliveira (Maccherani), 2003

"Beatriz" - Chico Buarque

No coração da boca /
Nel cuore della parola

Vera Lúcia de Oliveira (Maccherani)

Adriatica Editrice, Bari, 2003
14.5x21cm, 160 pag, 14 €
© Vera Lúcia de Oliveira

A cura di Fernanda Toriello

Prefazioni di Luciana Stegagno Picchio

e Lêdo Ivo

Traduzione di Guia Boni

Seleção de poemas / Selezione di poesie:

O pai / Il babbo
A louça /
Le stoviglie
Dona Cota / Dona Cota
No ônibus / Sull'autobus
Passarinho /
Uccellino
Os bijus / I bijù

Recensioni

Per l'acquisto del libro: Adriatica Editrice
Via Andrea da Bari 119/121, 70121 Bari - tel: 080 5235640

O pai

quando o deixei estava de pijama
perdia-se num mundo branco e mudo
disse pai a gente volta no domingo
olhou-me quedo não respondeu
não disse absolutamente nada

Il babbo

quando lo lasciai era in pigiama
sperduto in un mondo bianco e muto
dissi babbo torniamo domenica
mi guardò quieto non rispose
non disse assolutamente nulla

A louça

posso lavar, limpar a casa toda
deixar num brilho a louça
arear as panelas a moça não 
vê que mão calejada tenho
nasci trabalhando estou
acostumada a lustrar a casa
das patroas

Le stoviglie

posso lavare, pulire tutta casa
far brillare le stoviglie
lucidare le pentole lei non
vede che mani callose io ho
sono nata lavorando sono
abituata a lustrare le case
delle signore

Dona Cota

disse que a dona Cota tinha começado
a falar com os mortos 
chamava o pai, falava com a mãe
disse que era assim os mortos
é que vinham buscar os vivos
quando a gente já é um pássaro
e se prepara para o vôo
mas ainda não sabe 
se vai voar

donna Cota

disse che donna Cota aveva cominciato
a parlare con i morti
chiamava il padre, parlava con la madre
disse che era così i morti
venivano a prendere i vivi
quando si è già un passero
che si prepara al volo
ma ancora non si sa
se volerà

No ônibus

dormia no ônibus
a cada parada o corpo se sacudia
ele abria os olhos via a gente que entrava
via a gente que saía pensava fosse 
outro aquela moça aquele rapaz
tinha outra história começava de novo
morava noutro canto da cidade
cochilava com aquele sonho
de ser qualquer outra pessoa do mundo
menos ele mesmo

Sull’autobus

dormiva sull’autobus
a ogni fermata il corpo sussultava
lui apriva gli occhi vedeva la gente che saliva
vedeva la gente che scendeva pensava se io fossi
un altro quella donna quel ragazzo
aveva un’altra storia cominciava di nuovo
abitava in un altro canto della città
dormicchiava con quel sogno
di essere chiunque altro nel mondo
tranne se stesso

Passarinho

no portão o homem se esforçava
para se manter em pé
a patroa não daria uma ajudinha
um prato de comida serve
são três dias que não como ando sumido pelo mundo
quem me procura não acha estou virando passarinho
dei até para sobrevoar as casas e ver o mundo
todo de lá de cima

Uccellino

nel portone l’uomo si sforzava
di restare in piedi
lei non mi potrebbe dare una mano
un piatto di minestra va bene
sono tre giorni che non mangio vado randagio per il mondo
chi mi cerca non mi trova sto diventando un uccellino
ho preso persino a sorvolare le case e a vedere il mondo
tutto intero da lassù

Os bijus

o beijueiro passava de bicicleta
um velhinho raquítico que falava pouco
abria a lata, tirava o biju quentinho
guardava a moeda no bolso
subia na bicicleta e saía pedalando
com seus bijus pelo mundo

I bijù

il venditore di bijù passava in bicicletta
un vecchietto rachitico che parlava poco
apriva il barattolo, tirava fuori il bijù bello caldo
metteva la moneta in tasca
saliva sulla bicicletta e se ne andava pedalando
con i suoi bijù per il mondo

SAPEVAMO

Sapevamo di essere nel giusto, in quel lontano 1990, quando accogliemmo Vera Lúcia de Oliveira nella grande famiglia barese dei soci onorari di “Lusitania" accanto a rappresentanti prestigiosi del mondo lusofono come Jorge Amado e Zélia Gattai, Sophia de Mello Breyner Andresen e David Mourão-Ferreira, Eduardo Lourenço e Aniàlia Rodrigues...
Sappiamo di essere nel giusto, oggi, a proporre questi versi, tutti inediti, in una collana che ha accolto poeti consacrati come David Mourão-Ferreira, Carlos Drummond de Andrade e Sophia de Mello Breyner Andresen. La poesia di Vera Lúcia de Oliveira, spoglia e al limite del vocabolario di base, lo merita. Perché, pur nella francescana povertà dei materiali usati - o proprio grazie a tale povertà - questa antologia di tipi umani ci restituisce un microcosmo brasiliano e provinciale che assurge a paradigma del mondo. In versi scompigliati da baluginii di memoria, Vera Lúcia ci guida, con la sua parlata da cantastorie intessuta dell'oralità dei tanti discorsi riportati, attraverso i vizi e le virtù, i piccoli gironi di brucianti inferni, gli esili squarci di luminosi e inaspettati paradisi. Ma sempre con sguardo dolente, sempre con intensa partecipazione, sempre con esiti estetici sorprendenti.
Per presentarla intervengono qui autorevolmente Luciana Stegagno Picchio e Lêdo Ivo, entrambi poeti e sottili interpreti di poesia, entrambi accademici della prestigiosa "Academia Brasileira de Letras", entrambi, come Vera Lúcia, brasiliani: l'uno per nascita, l'altra per gli altissimi meriti acquisiti in lunghi anni di proficuo e appassionato lavoro di ricerca.
A Guia Boni è toccato il compito di condurre il lettore italiano nel cuore della parola dei versi di Vera Lúcia de Oliveira e di tradurre anche la presentazione che magistralmente ne ha fatto Lêdo Ivo. Dei non facili problemi connessi al compito affidatole, la traduttrice ha avuto cura di fornire una panoramica nella nota finale.

Fernanda Toriello, Università di Bari, ottobre 2003


Filippo Lamanna,
Vera Lúcia de Oliveira
(carboncino, 2003)

LONGE DO ESPLENDOR

A evidência de que a poesia é um sortilégio organizado está aninhada, como um pássaro, neste No coração da boca, de Vera Lúcia de Oliveira. O título sugere uma certa premência ou urgência de ser e expressar-se: uma intenção até sôfrega de confessar-se ou o instante de uma respiração suspensa, após um susto ou uma corrida. E na verdade ele se ajusta plenamente a esse lirismo que, mesmo sendo uma magia vocabular, recusa o fulgor e o esplendor, preferindo o caminho dos monólogos desolados que registram o desamparo e a colisão de seres miúdos, de pequenas vidas aflitas e ambientes sufocantes. É uma poesia da opacidade do mundo, uma dicção em surdina e em sussurro. O tecido poético usado por Vera Lúcia de Oliveira não é uma tapeçaria, antes uma estopa que indica a mais pobre materialidade da vida.
A poesia é construção, desconstrução e reconstrução. Vera Lúcia de Oliveira constrói, desconstrói e reconstrói: tece, destece e retece o tecido da vida. A sua delicada matéria poética se enraíza no que a existência cotidiana tem de mais oculto ou esquivo. Nenhuma transcendência ampara os seus versos – os versos de um lirismo coagulado que transgride conceituadas medidas métricas para, numa desconstrução aparente, impor uma verdade que punge e incomoda.
Esta poesia altamente substantiva, e na qual a ênfase está desterrada e abolida, é uma confidência fragmentária, uma confissão emaranhada. Através do emascaramento sutil, Vera Lúcia de Oliveira se confessa e se esconde. E, no outro lado, do rio ou da terra, ela confessa outros seres e faz ouvir outras vozes. E, com a modéstia verbal que é a sua virtude, celebra a penúria do mundo e o desamparo dos seres.
Nesta poesia sem maiúsculas, sem vírgulas e sem pontos finais – nesta poesia contínua e descontínua que se deseja nua e desprovida de encantos e ornatos - a noite escura  da alma e do verso é iluminada por uma constelação.

Lêdo Ivo, Rio de Janeiro, outubro 2003

LONTANO DALLO SPLENDORE

La prova evidente che la poesia è un sortilegio organizzato si annida, come un uccellino, in questo No coração da boca di Vera Lúcia de Oliveira. Il titolo suggerisce una certa premura o urgenza di essere e di esprimersi: un'intenzione perfino avida di confessarsi o l'istante del respiro sospeso, dopo uno spavento o una corsa. E in realtà il titolo si addice perfettamente a questa espressione lirica che, pur essendo magia di vocaboli, rifiuta il fulgore e lo splendore, preferendo il cammino dei monologhi desolati che registrano l'abbandono e la collisione di piccoli esseri, di piccole vite afflitte e di ambienti soffocanti. È una poesia dell'opacità del mondo, una intonazione in sordina e sussurrata. Il tessuto poetico usato da Vera Lúcia de Oliveira non è un arazzo, piuttosto un semplice ordito che indica la più povera materialità della vita.
La poesia è costruzione, decostruzione e ricostruzione. Vera Lúcia de Oliveira costruisce, decostruisce e ricostruisce: tesse, disfa e torna a tessere il tessuto della vita. La sua delicata materia poetica è radicata in quello che l'esistenza quotidiana ha di più occulto o schivo. Nessuna trascendenza puntella i suoi versi, versi di un lirismo coagulato che trasgrediscono consolidate misure metriche per imporre, in un'apparente decostruzione, una realtà che ferisce e inquieta.
Questa poesia altamente sostantiva, nella quale l'enfasi è esiliata e abolita, è una confidenza frammentaria, una confessione intricata. Attraverso il sottile travestimento, Vera Lúcia de Oliveira si confessa e si nasconde. E dall'altro lato, del fiume o della terra, confessa altri esseri e fa sentire altre voci. E, con la modestia verbale che è la sua virtù, canta la miseria del mondo e lo sgomento dell'uomo.
In questa poesia senza maiuscole, senza virgole e senza punti finali - in questa poesia continua e discontinua che si vuole nuda e sprovvista di incanti e ornamenti - la notte scura dell'anima e del verso è illuminata da una ridda di stelle.

Lêdo Ivo, Rio de Janeiro, ottobre 2003

IL CUORE E LA BOCCA

Da quando, nel 1989, dopo il giovanile esordio in patria nel 1983, Vera Lúcia de Oliveira, nata a São Paulo nel 1958 e trasferitasi venticinquenne in Italia, ci si è rivelata nella sua ardua, ma ineludibile condizione di poeta bifronte, portoghese e italiano, la bocca, la bocca bilingue di chi non rinuncia al privilegio della propria origine, ma lo stempera ormai nella consapevolezza, esistenziale e linguistica, della nuova espressione quotidiana, è divenuta per lei non solo la metafora, ma il segno concreto del suo essere poeta. Così da indurla a proporre nel titolo originale di questo libro, No coração da boca, letteralmente ‘nel cuore della bocca’, i due termini dell’espressione corrente che anche in italiano traduciamo con ‘avere il cuore in bocca’. Ed è così che, nella poesia d’esordio, la sera si risveglia al telefono la voce dell’altro e la si sente articolare roca, attraverso il filo, nel tentativo di conferire maggior spessore al “poco” di quel messaggio.
Ci sono poeti che sbocciano alla poesia come si sboccia alla vita: con la meraviglia di essere vivi, fra gli altri, entro una cornice di natura. E poeti che, come Vera, emergono alla contemplazione e all’ascolto dell’altro conferendo universalità all’esempio di oggi, dopo un lungo scavo nel dolore individuale. Tutti i libri che, dal 1989 con Geografie d’ombra, hanno contribuito a far distinguere e amare, tanto in Italia come in Brasile, questa singolare voce poetica, erano libri di dolore. ”Triste è il mondo” e anche “la vita così simile alla morte” erano stati annunci del primo libro e da allora la linea del poeta si è mantenuta su questo tono antieroico, antimetafisico, di un poesia quotidiana, sorgivamente spontanea anche se non sorda alle voci congeniali di grandi poeti come João Cabral de Melo Neto, Carlos Drummond de Andrade, Murilo Mendes ( pure lui poeta bilingue e suo modello di integrazione) e perché no? di un Fernando Pessoa soffocato dal tedio, dall’ennui novecentesco
 Oggi, per la prima volta, ci è lecito avvertire, oltre al fondo disincanto di sempre, una leggiera connotazione ironica e umoristica e perciò universalizzante, in questi flashes auditivi che rivelano la capacità d’ascolto e di esemplificazione in scenette di cui subito, mentalmente, noi possiamo riconoscere il personaggio, l’inflessione della voce, l’atteggiamento. Molte di queste scene “auditive”, “per l’orecchio”, sono introdotte da un “disse” che coniuga la singolarità della testimonianza con una specie di esemplare tradizione popolare: “disse che Dona Cota aveva cominciato a parlare coi morti”, “disse che da grande sarebbe diventato un bandito”,”gli dissero del padre quando ormai era morto”, “disse che non sapeva se lo aveva amato”, “disse che avrebbe comprato un cane”, “disse che andava per casa”, “gli disse di punto in bianco che non voleva essere seppellita in quel posto, che non era di lì che quella terra non avrebbe riconosciuto la terra da dove era venuta”, “disse che si sarebbe tagliata i capelli”… A volte il tono della voce, di quella voce, è suggerito da personaggi di cui, mentre udiamo le parole, sorge, sul piano visivo, l’immagine sterotipa di vinti della vita: “signorina, l’anello è d’oro lo può far valutare…”, ”posso lavare, pulire tutta la casa… sono abituata a lustrare le case delle signore”,”non voleva restare solo nella stanza bianca che odorava di ace disse che preferiva tornare a casa che dalla sua finestra vedeva la strada che nella strada passava sempre qualcuno il marciapiede lo avrebbe visto andarsene via”… Ci sono parole e storie tipicamente brasiliane (la parabola della mula senza testa); immagini e personaggi di megalopoli latino-americane ( “dormiva sull’autobus a ogni formata il corpo sussultava”), natali in famiglia con l’amaro di tutte le latitudini (“era il giorno di natale, la madre con gli occhi rossi serviva il risotto, il padre mangiava masticava in fretta guardava il piatto noi sentivamo che il pollo arrosto sembrava di marmo tanto non scendeva giù per la gola”).
Ma, pur nella sua maturazione “liberata”, questo non è un libro di rifiuto del passato, di tutto il passato. E, perciò, una delle immagini più toccanti, perché ormai consegnata al ricordo lontano ed individuale ( i morti ce li ricordiamo vivi), è quella del padre, presenza intollerabile, subito dopo la morte, in Geografie d’ombra e in tanti versi successivi. Allora: ”Ed io restavo là con gli occhi impalati sui quattro piedi di quel tavolo che ti tenevano”. Oggi: “Quando lo lasciai era in pigiama sperduto in un mondo bianco e nudo dissi babbo torniamo domenica mi guardò quieto e non rispose non disse assolutamente nulla”.
La traduzione di Guia Boni, così impegnativa in un caso come questo di un poeta bilingue e perciò giudice competente di ogni sua scelta, è onesta nel suo desiderio di fedeltà all’originale, al di là di ogni inutile “abbellimento” del testo. Ed è fedele proprio per una conoscenza profonda dell’uso linguistico e stilistico brasiliano, che sconsiglia al traduttore italiano tanto il pigro calco dell’originale, quanto l’impiego di vocaboli che potrebbero conferire nuove, improprie connotazioni a ogni singola invenzione poetica.

Luciana Stegagno Picchio, Roma, ottobre 2003

Recensioni: Giacomo Annibaldis, "Dal Brasile con il cuore in bocca", in La Gazzetta del Mezzogiorno, Bari, 18/12/2003; Franco Loi, "Voce senza sentimentalismi", Il Sole 24 Ore - domenica 1 agosto 2004; Antonella Giacon, 2004.

Recensioni nel sito >>

Presentazione Antonella Giacon, Università Italiana per Stranieri, Perugia, 26 febbraio 2004

Presentazione >>

Versione brasiliana del libro, "No coração da boca", Escrituras, São Paulo, 2006  >>

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(by Claudio Maccherani )